Petrolio: si lavora a nazionalizzazione Lukoil Priolo (Rep)
23 Novembre 2022 - 11:05AM
MF Dow Jones (Italiano)
Mancano 12 giorni al 5 dicembre, giorno in cui partirà l'embargo
sul petrolio russo, la pressione sul governo per trovare il modo di
non far chiudere il petrolchimico di Priolo cresce sempre più.
Ormai, tra le poltrone più alte dell'esecutivo, si considera
l'ipotesi di nazionalizzare l'impianto, tra i più grandi d'Europa
con 300 mila barili al giorno di capacità di raffinazione. Ma si
tratta di un piano di emergenza e ancora embrionale: anche perché,
oltre al valore dell'azienda, ci sarebbero da pagare i costi delle
future bonifiche, stimati da fonti del settore in almeno 5 miliardi
di euro. Anche per questo lo scenario non viene commentato dal
governo.
La situazione nel polo siracusano che occupa circa 10 mila
persone - 1.600 della major russa Lukoil che lo gestisce, il resto
nell'indotto, con contratti di servizio a rischio di rottura per
500 milioni - è precipitata in due fasi. La prima, spiega La
Repubblica, dopo l'avvio della guerra in Ucraina, quando le
sanzioni hanno cancellato le lettere di credito bancarie da circa
1,5 miliardi con cui Lukoil comprava greggio diterzi da raffinare.
La seconda a fine maggio, quando l'Europa ha deciso l'embargo al
petrolio russo, che dopo la ritirata delle banche Lukoil aveva
cominciato a trasportare in Sicilia per la raffinazione.
I canali sono tutti aperti. Giorni fa è sfumata una trattativa
con il fondo Usa Crossbridge Energy Partners, che si era fatto
avanti per comprare la raffineria che nel 2021 ha fatturato 4
miliardi di euro. Ma secondo fonti politiche gli americani si sono
tirati indietro per l'indisponibilità a pagare i futuri costi di
bonifica dell'area. Un'altra soluzione, finora in stallo, sarebbe
che Lukoil - non sanzionata in Europa né negli Usa - e il governo
convincessero le banche italiane a finanziare nuovi acquisti di
petrolio non russo. Finora non è bastata però la disponibilità
delle garanzie pubbliche di Sace fino all'80% degli importi, perché
gli istituti temono, oltre alle perdite sul 20%, anche di incappare
in future multe salate per aver rotto l'embargo.
Mentre il tempo passa, i tecnici studiano la complessità, che
pare rilevante per la legge italiana, di nazionalizzare
forzosamente una proprietà russa non sottoposta a sanzioni.
Qualcuno tra i politici del governo, invece, accarezza l'idea di
riportare la raffineria sotto l'ala dell'Eni, che nel 2002 la
cedette a Erg (venditore a Lukoil nel 2013). Una portavoce di Eni
fa sapere che "l'ipotesi non è mai stata considerata". Anche qui,
le complessità sarebbero tante. L'Eni di oggi non è la stessa di
vent'anni fa: il 70% del capitale appartiene a fondi privati, e nel
2020 ha varato un piano per traguardare, al 2050, la neutralità
carbonica. Per cercare di trovare una quadra sarebbe utile più
tempo: e non è da escludere che il governo chieda alla Commissione
europea una deroga di due anni all'embargo, come chiesto e ottenuto
da Bulgaria e Romania per le raffinerie di Lukoil nei loro
confini.
Ieri, a Roma, i ministri Adolfo Urso (imprese e made in Italy) e
Gilberto Pichetto Fratin (ambiente), hanno incontrato emissari
della Regione Siciliana e dei sindacati; e a Siracusa i lavoratori
convocati da Cgil e Uil sfilavano contro il rischio, concreto, di
un Natale senza lavoro.
cos
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November 23, 2022 04:50 ET (09:50 GMT)
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