Moda: i brand vanno all'estero, Milano non attrae aziende Made in Italy (MFF)
20 Luglio 2021 - 8:55AM
MF Dow Jones (Italiano)
Prima Stevanato (produttore di fiale di vetro per i vaccini
contro il Covid-19) poi Ermenegildo Zegna. Nel breve volgere di una
sola settimana, e a differenza di quanto mai accaduto nella storia
recente dei mercati finanziari internazionali, due aziende del Made
in Italy, seppure di settori non contigui tra loro, hanno deciso di
quotarsi a Wall Street, snobbando Piazza Affari. Motivo? Nel caso
di Stevanato le valutazioni garantite alla società, trattata oltre
20 volte l'ebitda, e al quale gli investitori e il mercato Usa
hanno attribuito un valore di 6,3 miliardi di dollari con una
raccolta di 672 milioni di dollari.
E anche se il titolo al debutto, scrive MFF, ha fatto flop,
-6,3%, il segnale dato è quantomai rilevante. Mentre per il brand
di moda si è trattato più di un mix di fattori:
l'internazionalizzazione del giro d'affari, il 51% proviene dalla
Cina e l'ingente massa di capitali che hanno a disposizione le spac
quotate a Wall Street.
E se a ciò si va a sommare il fatto che la biotech, spin-off del
San Raffaele di Milano, Genenta Sciences, sta lavorando alla
quotazione al Nasdaq appare evidente che il listino di Milano fa
particolarmente fatica ad attrarre storie aziendali e soprattutto
mid cap e aziende di taglia rilevante. ll tutto senza trascurare il
fatto che sempre più società quotate a Piazza Affari hanno deciso
di trasferire la sede legale ad Amsterdam (Campari, Cementir, Cnh
Industrial, Exor, Mediaset e Stellantis) per le migliori condizioni
di mercato, a partire dalla tematica del voto maggiorato. E senza
dimenticare poi che anche il gruppo Prada, che avrà una quota (10%)
di Zegna aveva preferito optare per la borsa di Hong Kong piuttosto
che per Milano che nel settore della moda e del lusso ha pure perso
Luxottica, migrata sul listino di Parigi dopo l'integrazione con
Essilor. Insomma, uno dei settori nei quali questo Paese primeggia
su scala mondiale, l'abbigliamento, snobba la borsa, eccezion fatta
per Moncler, Brunello Cucinelli, Salvatore Ferragamo, Tod's e
Aeffe. Del resto anche il re delle passerelle, Giorgio Armani, non
ha mai avuto intenzione di quotare il suo gruppo, uno dei più
capitalizzati e redditizi dell'intero settore. Lo stilista, come
anche il duo Dolce&Gabbana, snobba Piazza Affari. Ci è entrato,
indirettamente, come azionista di minoranza del cantiere nautico
The Italian Sea Group.
La difficoltà di attrarre aziende di grandi dimensioni lo
dimostra anche il fatto che quest'anno, sul listino principale, si
sono quotate solo tre società: Philogen (capitalizzazione di 376,6
milioni), Seco (market cap di 417 milioni) e The Italian Sea Group
(287 milioni). Mentre continua il processo di approdo all'Aim
Italia dove però la taglia delle pmi è decisamente più bassa. Il
tutto a fronte di un elevato numero di opa finalizzate al
delisting: ben 14 da inizio anno. Insomma, Milano fatica a trovare
grandi storie finanziarie da raccontare e in grado di raccogliere
ingenti capitali. Solo due anni fa era stato raggiunto il risultato
dei due miliardi di raccolta garantiti da Nexi (capitalizzazione di
18,6 miliardi), che poi è andato a conquistare la nordica Nets e
ora sta definendo l'integrazione con Sia. Un po' poco. Tanto più
che ora Borsa Italiana fa parte del circuito internazionale
Euronext.
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