«La spinta allo sviluppo dai fondi del Pnrr ci sarà, ma il rischio è che si droghi l'economia col debito pubblico, come negli anni 80, senza creare vera competitività. E con il nuovo ruolo dello Stato il pericolo è di ritrovarci con altre 400 Alitalia. Al Paese serve altro: una vera economia della conoscenza e un capitalismo di qualità fondato su venture capital, private equity e fondi di ristrutturazione». Roger Abravanel, saggista, consigliere di amministrazione di grandi aziende e direttore emerito di McKinsey, ha già lanciato l'allarme sui rischi italiani nel suo ultimo libro «Aristocrazia 2.0». Intervistato su ClassCNBC alla luce della stesura del Pnrr, torna a evidenziarne pregi e soprattutto vizi del Paese.

Domanda. Abravanel, questo Pnrr le piace?

Risposta. È fatto bene, perché si capisce come si spenderanno i soldi. Si tratta di un buon piano di investimenti pubblici.

D. Ma?

R. Ma non saranno gli investimenti pubblici a risolvere i problemi di un'economia ferma da 40 anni e fondata su un vecchio paradigma fatto di piccole imprese. All'Italia è mancata l'evoluzione verso un'economia postindustriale, l'economia della conoscenza, quella delle big tech, dei grandi gruppi internazionali privati, che hanno compreso le potenzialità enormi del digitale.

D. Il Pnrr investe anche in questo campo.

R. Questo aiuterà, ma anche l'Ue sa che un piano di investimenti non farà ripartire un Paese. Per questo chiede riforme. Prendiamo la Green Economy: lo Stato ha un ruolo non tanto per gli investimenti ma per le policy sulle tariffe. E quello che ha fatto la differenza è la nascita di grandi imprese private come Veolia. Il Pnrr investe in banda larga 5 miliardi; sono pochi. Gli investimenti grandi sono fatti da Open Fiber o Tim.

D. In ogni caso il Next Generation Eu lega gli investimenti alle riforme e il Pnrr contiene entrambi.

R. L'Ue continua a ragionare con pregiudizi nei confronti degli italiani e dà i soldi in cambio di riforme. Ma per alcune di queste non serve un piano tecnico ma l'abbattimento di un tabù politico e culturale. Prendiamo le università: il problema di un'economia della conoscenza è far nascere in un Paese pochi atenei di eccellenza. I fondi pubblici non vanno distribuiti ma concentrati sui migliori. L'idea che le università sono tutte uguali è un tabù che non si abbatte in due mesi. Vale anche per la riforma della giustizia; non basta digitalizzare gli uffici, ma bisogna responsabilizzare i magistrati. E nella pubblica amministrazione non serve solo formare il personale per i processi digitali, ma togliergli il terrore di essere perseguiti.

D. Draghi può farcela?

R. Se c'è una persona in grado di farcela è Draghi. Il quale ora porterà a casa questi 200 miliardi, ma la speranza è che riesca a portare avanti anche questi processi, che non sono riforme ma vere trasformazioni socioeconomiche.

D. Parliamo di un nuovo modello di capitalismo?

R. Sì. Stiamo parlando in questi mesi di uno Stato che diventa ancora più imprenditore. Con il rischio di ritrovarci con 400 Alitalia. Quello che bisogna fare invece è creare gli incentivi per un nuovo sistema, fatto di venture Capital, private equity, fondi di ristrutturazione, che prendano le migliori imprese e idee italiane e le facciano partire. In altri Paesi, come Israele, hanno fatto così. Ma tutto questo, nel Recovery Plan, non c'è.

D. Lo stesso Draghi ha detto che i soldi a pioggia non funzioneranno e bisogna selezionare, ma anche creare o mantenere l'occupazione.

R. I 200 miliardi del Pnrr lo faranno. Ma il nostro problema prima del Covid non era la disoccupazione. Era alta, e lo è tuttora, come in altri Paesi, ma nel nostro accade perché le imprese non si sono evolute verso l'economia della conoscenza, non investono in ricerca e non creano i cosiddetti high value jobs. Sono questi che fanno sì che un laureato guadagni di più. E se si alza tutto il livello di retribuzione guadagna di più anche un barbiere. È questa la fase successiva a cui pensare.

D. Al governo ci sono suoi ex colleghi come Vittorio Colao o scienziati come Roberto Cingolani. Riusciranno a impostare questo cambiamento?

R. Sono sicuramente due figure che capiscono queste cose. Ma per impostare il cambiamento di cui parlo ci vuole la politica. Mi auguro che, quando la pandemia rallenterà grazie alle vaccinazioni, si cominci a pensare a queste cose. Ma - ripeto - dovrà farlo la politica.

fch

 

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May 24, 2021 02:59 ET (06:59 GMT)

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