Una pandemia, una crisi di governo e soprattutto una complicata staffetta al vertice. Per Unicredit il 2021 non poteva iniziare più in salita, eppure la macchina operativa non ha spento il motore. Al contrario sono molti i fronti aperti, dai mercati dei capitali agli affidamenti, dalla gestione del credito deteriorato all'ottimizzazione del capitale, come racconta il top manager Olivier Khayat. Sodale del ceo uscente Jean Pierre Mustier (di cui è stato collega già a SocGen), Khayat è in Unicredit dal 2011 e dopo cinque anni al vertice del Cib è diventato co-ceo Commercial Banking Western Europe. Appartiene insomma a quel gruppo di banker internazionali che negli ultimi anni ha governato la banca e per cui oggi è tempo di bilanci. Khayat condivide molte idee di Mustier, tranne forse la scarsa considerazione della lingua italiana che, al contrario del ceo uscente, si sforza con impegno di parlare. Come è accaduto per questa intervista con MF-Milano Finanza.

Domanda. Khayat, in queste settimane i riflettori sono puntati sulla governance di Unicredit e sulla scelta del nuovo ceo ma come procede l'attività operativa?

Risposta. Le transizioni sono un fenomeno normale per le aziende. Senza nulla togliere alla delicatezza del momento, osservo che questa transizione arriva al termine di un anno molto particolare per tutti, nel corso del quale abbiamo saputo crescere e diventare più robusti. Un anno che, in termini di competenze acquisite, vale come cinque o dieci anni. Forti di questa esperienza, continuiamo a fare il nostro lavoro a supporto dell'economia reale. Unicredit è più che mai open for business, al fianco dei propri clienti.

D. Jean Pierre Mustier ha lasciato l'incarico per divergenze sulla strategia. Lei che bilancio fa dei quattro anni della sua gestione?

R. Sono in Unicredit dal 2011 e ho potuto apprezzare come il gruppo ha saputo evolversi in questi ultimi anni. Guardiamo ai numeri: la banca oggi ha un bilancio molto pulito e un core tier 1 tra i più alti in Europa, due requisiti essenziali per giocare un ruolo di primo piano nell'economia, soprattutto in un momento difficile come quello che stiamo attraversando. Le banche possono fare pienamente il loro lavoro solo con bilanci forti e mi fa molto piacere poter dire che oggi Unicredit è diventata una banca più solida e competitiva senza aver rinunciato alla propria identità. Possiamo essere tutti orgogliosi di lavorare per una banca leader nei vari Paesi in cui opera: Italia, Germania, Austria e Cee.

D. L'identità o, per meglio dire, l'italianità di Unicredit è stato un tema molto discusso in questi anni e le polemiche non sono mancate. Qual è la sua idea a riguardo?

R. Unicredit è una banca che ha assunto una dimensione e una leadership europea, ma con profonde radici in Italia.

D. Oggi proprio in Italia, come in molti altri paesi, il periodo è molto critico. Che segnali arrivano per esempio dai titoli governativi?

R. Lavoriamo da tempo con il Tesoro e l'ultimo collocamento di Btp chiuso la scorsa settimana è stato molto positivo: abbiamo registrato una domanda per oltre 105 miliardi, dieci volte la taglia del bond. Questo dimostra che l'appetito dei mercati rimane alto, anche grazie all'ampia liquidità messa a disposizione dalla Bce con il Quantitative easing. È un trend a cui assistiamo dall'aprile scorso, quando il mercato si è riaperto dopo la gelata della pandemia, e che continuerà. Oggi vedo grande potenziale per i titoli di Stato italiani.

D. Eppure c'è una crisi di governo aperta. Non la preoccupa?

R. Il fatto che in queste fasi ci sia volatilità è normale. Oltretutto occorre ricordare che i governativi italiani si sono apprezzati molto negli ultimi mesi e oggi una correzione è ragionevole. Per gli investitori questa è più una ragione per rientrare nel mercato che per uscire, anche perché nel medio termine la liquidità non si esaurirà.

D. Anche il mercato dei corporate bond è vivace in questi primi giorni dell'anno. C'è stata l'operazione Tim, con il primo bond sostenibile, e poi c'è stata l'emissione di Unicredit di martedì. Una finestra favorevole, malgrado tutto?

R. Il caso di Tim è stato molto interessante, non solo perché il gruppo ha emesso il primo bond sostenibile ma anche perché la domanda è stata quattro volte la taglia dell'emissione, con 260 investitori pronti ad acquistare. Questo è un altro esempio dell'appetito che oggi vediamo sui mercati e delle opportunità che si offrono per tante aziende italiane.

D. Se i mercati dei capitali non danno grande peso alla crisi pandemica, come valuta invece la situazione del tessuto produttivo italiano?

R. La situazione è molto diversa da settore a settore e nei prossimi mesi la divergenza continuerà a essere pronunciata. Ci sono aree dell'economia che vanno bene, mentre altre sono state colpite duramente dalla pandemia. Nel primo caso vediamo che tante aziende vogliono accumulare liquidità per essere pronte a rientrare nel ciclo. Questo vale soprattutto per chi lavora nell'export e oggi può beneficiare della rapida ripartenza dell'Asia. D'altra parte ci sono aziende in difficoltà che devono essere aiutate a superare questa fase. Unicredit ha sfruttato tutti gli strumenti a disposizione per venire incontro alle necessità del tessuto economico. Un numero su tutti: dalla primavera scorsa a inizio dicembre avevamo già emesso crediti per 13,5 miliardi coperti da garanzia Fondo Pmi e Sace.

D. Nella prima fase della pandemia la priorità per le aziende era la liquidità. Oggi quali sono i fronti più caldi?

R. Ne vedo almeno tre. In primo luogo dobbiamo mettere in campo strumenti per sostenere il working capital, che è un fattore fondamentale per la ripartenza dell'economia. Il secondo aspetto molto delicato è gestire il deleveraging delle imprese che nell'ultimo anno hanno accumulato liquidità. Se l'economia ripartirà, non ci sarà problema a fare deleverage e rinforzare la struttura del capitale. Il terzo ambito su cui lavorare è la trade finance che può fornire una serie di strumenti preziosi agli esportatori e aiutarli così a fare da volano per la ripresa.

D. Gli sforzi per tenere a galla le imprese potrebbero però non bastare Molti analisti prevedono un brusco aumento dei default alla fine delle moratorie e un conseguente incremento dei crediti deteriorati. Qual è la sua aspettativa?

R. Non abbiamo mai nascosto questa eventualità. Nel primo trimestre del 2020 Unicredit è stata una delle banche italiane più conservative a livello di accantonamenti sul credito. Abbiamo detto al mercato: siamo in una situazione molto pericolosa che non si vedeva da almeno 70 anni e quindi dobbiamo mettere un po' di soldi a riserva per farci trovare pronti. Le moratorie permettono di creare un ponte verso la fine della crisi, ma è inutile nascondersi che i default ci saranno.

D. Molti banchieri auspicano la creazione di una bad bank o comunque una soluzione di sistema a livello nazionale per gestire la nuova ondata di npl. Lei condivide la richiesta?

R. Qualche soluzione di sistema è benvenuta a livello sia domestico che europeo. Allo stesso tempo però non deve diventare un alibi: le singole banche devono prepararsi e svolgere il loro lavoro senza limitarsi ad attendere una soluzione esterna.

D. Voi come vi state preparando?

R. Abbiamo preso tutte le misure per proteggere la banca. Dal 2016 a oggi Unicredit si è concentrata molto sul rafforzamento del bilancio e continuerà a farlo. Abbiamo ridotto di oltre 50 miliardi le non performing exposure, attraverso una decisa attività di de-risking, e abbiamo l'obiettivo di azzerare la parte non core del nostro portafoglio entro quest'anno. L'altro aspetto molto importante per noi è lavorare con le aziende in difficoltà per gestire l'uscita dalla crisi nei vari scenari possibili. Voglio peraltro ribadire che una cosa non può essere fatta senza l'altra: senza una situazione patrimoniale solida, una banca non può sostenere appieno l'economia. Lo abbiamo sempre detto e lo abbiamo sempre fatto.

fch

 

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January 18, 2021 02:16 ET (07:16 GMT)

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