"Quanto sta succedendo in Mediobanca non mi meraviglia; al
contrario, mi chiedo perché non sia accaduto prima". Ennio Doris
non si scompone di fronte alle manovre di Leonardo Del Vecchio, che
dopo essersi portato al 6,98% di Piazzetta Cuccia medita nuovi
acquisti. Per il fondatore di Mediolanum (oggi socio al 3,3% di
Mediobanca ) il percorso industriale della merchant, basato sulla
diversificazione dei ricavi e sul rafforzamento di nuove aree di
business, era destinato a stimolare l'appetito di nuovi
investitori.
Domanda. Doris, quindi l'arrivo di un nuovo azionista di rilievo
non è una sorpresa?
Risposta. Quella di Mediobanca è una storia che non poteva
lasciare indifferenti gli investitori, italiani o internazionali
che fossero.
D. Lei quella storia la conosce bene, visto che frequenta
Piazzetta Cuccia da oltre 20 anni.
R. Ho incontrato per la prima volta Mediobanca nel 1996, quando
abbiamo quotato Mediolanum nell'ambito di un'operazione che, oltre
a Piazzetta Cuccia, coinvolgeva Banca di Roma e Sbc Warburg. In
quell'occasione ho conosciuto Enrico Cuccia, Vincenzo Maranghi e
manager come Gerardo Braggiotti a Matteo Arpe. Quella era ancora la
Mediobanca punto di riferimento delle grandi imprese, che
controllava e da cui era controllata, e stanza di compensazione
dell'asfittico sistema finanziario italiano.
D. Era un altro mondo, insomma?
R. Cuccia era un sacerdote, così come lo era il suo allievo
prediletto Maranghi. Gli aneddoti sulla sua integrità sono
diventati proverbiali.
D. È stata proverbiale anche la sua diffidenza verso Silvio
Berlusconi, come dimostra il rifiuto di portare Mediaset in borsa.
Due mondi troppo lontani?
R. Non personalizzerei troppo quelle vicende; tant'è vero che
Mediobanca non partecipò alla quotazione di Mediaset ma, come
ricordavo, prese parte a quella di Mediolanum , di cui Fininvest
era azionista. Il fatto è che in quegli anni Cuccia era
culturalmente distante da molte novità. Non capiva il valore
economico dei diritti televisivi; vedeva le antenne e cercava le
ciminiere. Se si avvicinò a Mediolanum fu anche perché mi impegnai
personalmente a spiegargli che cosa fossero i fondi comuni, che
pure erano presenti sul mercato italiano da inizio anni 80.
D. Forse faceva soltanto orecchie da mercante. In ogni caso,
come accolse l'ingresso di Mediolanum in Mediobanca nel 2000?
R. Molto positivamente; d'altra parte non sarebbe stato
possibile entrare nella compagine azionaria senza il suo consenso.
Mi aiutarono i buoni rapporti costruiti con lui e con Maranghi, ai
quali ero riuscito a spiegare in maniera convincente la storia di
Mediolanum e il valore industriale del nostro investimento.
D. Nei suoi ultimi anni Cuccia stava ripensando gli assetti di
controllo di Mediobanca . Mediolanum era un tassello di questo
disegno?
R. Senza dubbio. Cuccia pensava a nuovi equilibri per la banca.
Equilibri che avrebbero dovuto coinvolgere soggetti dinamici e ben
inseriti sul mercato, come Mediolanum .
D. Progetti condivisi anche da Maranghi. Che ricordo ha di quel
banchiere, allora non particolarmente amato dai grandi azionisti di
Mediobanca ?
R. I nostri rapporti erano ottimi. Maranghi era l'allievo di
Cuccia e, come per il maestro, il suo obiettivo era difendere a
ogni costo la realtà che guidava.
D. Ma allora lo si accusava di aver dato eccessivo spazio ai
soci francesi.
R. Sin dalla fondazione Mediobanca è stata una banca
internazionale e i suoi storici legami con istituti esteri, come
Lazard o Commerzbank , sono noti. Pertanto non ho visto
nell'ingresso di Vincent Bolloré o degli altri soci francesi un
elemento di discontinuità. Semmai quelle iniziative rientravano
nella rivisitazione della governance a cui stava lavorando
intensamente l'ultimo Cuccia.
D. A proposito, avete più notizie di Bolloré e del suo 7,9%?
R. Non ho aggiornamenti, ma mi limito a osservare che Bolloré è
un imprenditore e in questo momento è attivo su diversi fronti.
D. Con la gestione di Alberto Nagel Mediobanca ha cambiato
pelle, soprattutto dal punto di vista industriale. Che valutazione
dà della trasformazione?
R. Negli ultimi 15 anni la banca ha fatto scelte coraggiose.
Penso alla creazione di CheBanca!, mossa che ha permesso a
Mediobanca di accedere alla raccolta retail in un momento in cui la
liquidità stava diventando un'emergenza per le banche d'affari
internazionali. Non solo; Piazzetta Cuccia ha saputo diversificare
i ricavi puntando a settori alternativi al corporate &
investment banking. Penso a credito al consumo, risparmio gestito e
private banking. Non sono state scelte facili e dentro il board non
sono mancate le discussioni, ma personalmente le ho sempre
appoggiate con convinzione.
D. Insomma, l'azionista Doris è soddisfatto?
R. Basta guardare i numeri. Nonostante l'impegnativa
trasformazione industriale Mediobanca non ha smesso di distribuire
dividendi e, caso più unico che raro tra le banche italiane, non ha
chiesto aumenti di capitale agli azionisti. Direi che il bilancio è
molto positivo, specie se leggiamo questi numeri nel difficile
contesto della crisi finanziaria.
D. Sarebbe disponibile ad aumentare la quota?
R. Potremmo incrementare la partecipazione della holding di
famiglia, oggi pari allo 0,4%, sino a un massimo dell'1%.
D. Quindi Del Vecchio ha fatto bene a comprare?
R. Certamente la mossa non mi stupisce. Del Vecchio è un grande
imprenditore con una vicenda personale straordinaria. Resta da
capire che cosa farà adesso: se si fermerà o continuerà a comprare
diventando l'azionista di riferimento di Mediobanca.
D. Una scalata ostile?
R. Se ci atteniamo al suo comunicato, lui dichiara di voler
«accelerare la creazione di valore».
D. Ha comunque lasciato intendere di non gradire l'attuale
statuto, specie il meccanismo di selezione dell'amministratore
delegato. Come valuta quelle critiche?
R. Quello statuto è figlio di una particolare situazione che si
creata dopo la fusione di Capitalia in Unicredit , in cui
Mediobanca , d'accordo con le autorità di vigilanza e soprattutto
con l'Antitrust, scelse di preservare l'autonomia del suo
management dalle interferenze dei soci, taluni in evidente
conflitto di interesse. Oggi credo che, se l'azionariato si
frazionasse ulteriormente, ci sarebbe la piena disponibilità a
modificare quei passaggi.
D. Del resto oggi tutti gli azionisti hanno le mani libere per
vendere, a partire da Unicredit che pure avrebbe voluto un patto di
sindacato più forte.
R. Alla scadenza anticipata del vecchio sindacato i pattisti
erano rimasti in pochi e il peso di Unicredit rischiava di essere
preponderante. Ecco perché ho proposto un accordo che avrebbe
lasciato a tutti le mani libere per vendere. La cosa più importante
per una banca come Mediobanca è che resti indipendente, così come
ogni altra grande banca d'affari.
D. Che idea si è fatto di Jean Pierre Mustier?
R. L'ho incontrato due o tre volte e mi è sembrato un finanziere
di livello internazionale, con un background adatto per guidare
l'attuale Unicredit .
D. Molti cambiamenti insomma in 20 anni. Ma le propongo quello
che in futuro potrebbe rivelarsi il più difficile: è possibile una
Mediobanca senza Generali ?
R. In questo momento non mi sembra una soluzione praticabile per
ragioni. La prima è che per cedere la quota in Generali Mediobanca
dovrebbe avere un target alternativo altrettanto profittevole dove
investire i proventi. Target che al momento non vedo. In secondo
luogo, da italiano prima che da professionista della finanza,
ritengo che presidiare la prima assicurazione del Paese rimanga un
dovere cui Piazzetta Cuccia non può sottrarsi.
red
(END) Dow Jones Newswires
October 14, 2019 02:12 ET (06:12 GMT)
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