Inflazione: latte, è allarme rosso (Mi.Fi)
08 Agosto 2022 - 9:13AM
MF Dow Jones (Italiano)
Prezzi alle stelle ancora prima di uscire dalla stalla. Con
l'aumento dell'inflazione e il rincaro delle materie prime produrre
latte rischia di diventare troppo costoso. Formato per l'86% da
pmi, il settore lattiero caseario italiano si trova oggi a fare i
conti con una crisi peggiore di quella della pandemia. Tirando le
fila degli ultimi sei mesi, l'unica voce davvero positiva riguarda
le esportazioni. Per questo motivo, Paolo Zanetti, presidente
dell'associazione Assolatte, crede che questa possa essere una
valida alternativa per crescere.
Domanda. Prima la pandemia poi la guerra. Qual è stato l'effetto
degli ultimi eventi sul settore lattiero caseario?
Risposta. Durante la pandemia ci siamo rimboccati le maniche e
abbiamo adoperato tutti gli strumenti di sicurezza per continuare a
lavorare. In questo modo, il settore non si è fermato e non abbiamo
mai sprecato neanche una goccia di latte. Da quando è iniziata la
guerra, però, l'inflazione ha imposto costi enormi già
all'agricoltore, che ha visto il prezzo della soia - principale
alimento dei bovini - aumentare a dismisura. Di conseguenza, il
latte ora esce dalle stalle che già costa 55 centesimi al litro,
48,6% in più rispetto a prima della pandemia. Poi, nella fase di
produzione si aggiungono i costi della plastica e dell'energia, con
il gas che nell'ultimo anno ha registrato un aumento del 723%.
D. Come stanno reagendo le aziende?
R. Sono preoccupate. Nel nostro settore non è semplice
trasferire a valle costi che continuano ad aumentare. Così per
restare sul mercato ci vogliono spalle larghe e una solida
posizione finanziaria. A queste preoccupazioni si aggiungono quelle
per i consumi che temiamo si riducano ulteriormente, con potenziali
problemi anche occupazionali. Infatti, finora le aziende del
settore hanno scaricato molto poco sulla distribuzione,
sacrificando i propri margini, ma questo è bastato a causare una
contrazione nelle vendite. Tra gennaio e aprile, gli acquisti
domestici di formaggi hanno segnato un calo del 5%, mentre quelli
del latte alimentare si sono ridotti del 4,2% nel segmento uht e
del 7,2% nel fresco.
D. Le pmi soffrono di più rispetto alle grandi imprese?
R. Non necessariamente; dipende dall'esposizione finanziaria più
che dalle dimensioni. Le aziende più solide e meno indebitate
reagiranno meglio al rialzo dei tassi e all'aumento del costo del
denaro, mentre quelle che non riescono a stare al passo dovranno
vendere o abbassare le serrande.
D. E il consumatore finale, come si colloca in questo
scenario?
R. Quasi non si accorge del problema. Nonostante l'aumento dei
prezzi e l'alto valore proteico, all'interno del carrello della
spesa i prodotti del nostro settore restano forse i più economici.
In media, un individuo spende circa 60 centesimi per rifornirsi di
latte e formaggi. Ora, se questa cifra raggiungesse gli 80
centesimi, nonostante il balzo percentuale, il valore assoluto
rimarrebbe inferiore al costo di un caffè. Alle aziende, invece,
consentirebbe di alleggerire il peso dei costi sui bilanci.
D. In questo momento di difficoltà, quali sono le alternative a
disposizione delle aziende per crescere nel settore?
R. Sicuramente l'export. Nel 2021 le esportazioni dei prodotti
lattiero caseari hanno generato 4,1 miliardi di fatturato. Nei
primi cinque mesi il trend è rimasto in forte crescita, registrando
un aumento del 16,3% rispetto allo stesso periodo dello scorso
anno. I dati sono la prova della resilienza di un mercato in cui,
nonostante le gravi difficoltà, le aziende hanno la possibilità di
crescere. Guardando poi alla destinazione dei prodotti, l'Unione
europea è sicuramente privilegiata sia per distanza sia soprattutto
per abitudini alimentari. Ma anche il Nord America è un segmento
importante, specialmente per derivati come grana padano e
parmigiano reggiano.
D. E in Asia?
R. Il lockdown ha ridotto molto le esportazioni verso il
Giappone e anche il mercato cinese ne ha risentito, seppure in
maniera inferiore. Ciò nonostante, l'Asia rimane un obiettivo su
cui punteremo molto nel prossimo futuro.
D. Torniamo in Europa. Qual è stato l'effetto della guerra in
Ucraina sulle esportazioni del settore?
R. Questo è interessante, in Russia non abbiamo subito perdite a
causa dell'attuale conflitto perché i nostri prodotti non sono
presenti nel Paese già dalla guerra in Crimea del 2014, quando le
contro sanzioni di Putin hanno chiuso il mercato all'Europa. Un
vero peccato. I consumatori russi hanno sempre apprezzato il Made
in Italy alimentare; la domanda era forte e il mercato cresceva,
anche a tripla cifra. Poi da un giorno all'altro il settore si è
bloccato, fatto salvo per una piccola categoria merceologica. Le
conseguenze dell'embargo sono state tanto gravi da richiedere
l'intervento dell'Unione europea con specifiche misure di sostegno.
L'unica fortuna, se così si può definire, è che oggi da questo
mercato non abbiamo perso nulla.
D. Vale lo stesso per l'Ucraina?
R. No, l'Ucraina era un segmento piccolo ma aveva un forte
potenziale e con la guerra lo abbiamo perso.
alu
fine
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0808:57 ago 2022
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August 08, 2022 02:58 ET (06:58 GMT)
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