Turchia: perché Erdogan non va nelle zone terremotate (MF)
08 Febbraio 2023 - 9:08AM
MF Dow Jones (Italiano)
In Turchia è il momento della corsa contro il tempo, della
coesione nazionale, delle immagini di migliaia di civili che, a
mani nude e con temperature gelide hanno aiutato la Protezione
Civile e la Mezzaluna Rossa a scavare e a prestare i primi
soccorsi. Scene che hanno fatto il giro del mondo e che hanno
commosso migliaia di persone, dove però non si può fare a meno di
notare una vistosa mancanza. Il presidente turco, Recep Tayyip
Erdogan, solitamente un animale da palcoscenico sempre pronto ad
alimentare il proprio consenso, a quasi 48 ore dalle scosse di
lunedì, non è ancora andato nelle zone devastate dal terremoto che
ha provocato 5 mila morti, secondo i dati più recenti, e una
dichiarazione di stato d'emergenza di tre mesi nelle zone colpite.
Un'assenza che pesa come un macigno, data la natura del capo dello
Stato e quella del popolo turco, abituato da anni alla sua presenza
a intervalli regolari, che sia in campagna elettorale o per
inaugurare anche l'infrastruttura apparentemente meno rilevante
poco importa. Il popolo turco aspettava Recep Tayyip Erdogan e lui
finora non li ha mai delusi.
Lo scrive MF-Milano Finanza, aggiungendo che a quasi 48 ore
dalla tragedia, invece, il presidente rimane ad Ankara e si fa
sentire e vedere il meno possibile e le popolazioni del sud-est,
dove i sismi micidiali hanno colpito nel modo più devastante, non
solo ne reclamano la presenza.
Probabilmente il capo dello Stato è l'ultima persona che
vorrebbero vedere visitare le loro terre stravolte dalla violenza
della natura. Particolare che, a pochi mesi dal voto, per Erdogan è
tutto fuorché una bella notizia.
Il sisma ha colpito una zona popolosa, nevralgica, dove il
numero uno di Ankara fatica a tenere i consensi, per più motivi. Il
primo è che si tratta di una zona curda e alevita. Due minoranze,
la prima etnica, la seconda religiosa, che nella storia del paese
sono state ripetutamente perseguitate. In secondo luogo, proprio in
queste terre, la crescita turca che ha fatto registrare tassi
importanti per molti anni, ha fatto sentire i suoi effetti con
molti contrasti. Quindi, se zone come Gaziantep e Kahramanmaras
sono diventate importanti comparti industriali, dall'altra la
popolazione si è arricchita in modo disomogeneo e molto spesso
secondo logiche di appartenenza a circoli religiosi e confraternite
più o meno nelle grazie di Erdogan.
C'è poi un terzo motivo per il quale il presidente evita di
farsi vedere da quelle parti. Le zone del sud-est turco sono quelle
che più hanno risentito del massiccio afflusso di rifugiati siriani
durante gli oltre dieci anni di guerra civile. Se in una prima
fase, la Turchia ha posto grande enfasi su questo sforzo
umanitario, nella speranza che il presidente americano di allora,
Barack Obama, muovesse guerra a Bashar al-Assad, oggi le cose sono
molto cambiate. L'intervento occidentale non c'è stato. Gli
americani si sono parzialmente ritirati ed Erdogan, a causa della
sua alleanza di convenienza con la Russia, è stato costretto ad
accettare che il numero uno di Damasco rimanesse al potere.
Purtroppo, però, gli oltre tre milioni di rifugiati dalla Siria
sono rimasti sul suolo turco e proprio ora che Ankara aveva
iniziato a organizzare rimpatri forzati di decine di migliaia di
persone è arrivato il terremoto più rovinoso dell'ultimo secolo a
bloccare i suoi piani. Una presenza che, da gradita e favorita, è
diventata un peso a livello di costi e un problema a livello di
sicurezza a causa dei tanti siriani che non sono riusciti a
integrarsi e che vivono in condizioni di estrema povertà e di
espedienti.
In tutto questo, secondo la Costituzione, entro il 18 giugno si
deve votare. Il presidente cerca la terza rielezione di fila e non
può rimandare la consultazione elettorale. Anzi, prima delle
manifestazioni sismiche, voleva addirittura anticipare il voto al
14 maggio, per sfruttare al meglio il prestigio in patria acquisito
con il tentativo di mediazione fra Ucraina e Russia e le condizioni
poste alla Nato per non mettere il veto sull'ingresso di Svezia e
Finlandia. In poche ore la situazione gli si è ritorta contro, con
un cataclisma che ha fatto affiorare tutte le fragilità del paese,
a partire dalle case costruite senza rispettare i criteri
antisismici, alla ricchezza distribuita in modo troppo disomogeneo
e in un momento economico quando mai delicato.
L'inflazione a gennaio è scesa al 57% su base annuale ma rimane
fuori controllo, così come la valuta nazionale, sempre molto debole
nei confronti di dollaro ed euro. Erdogan è costretto a una
campagna elettorale dove non può utilizzare il suo cavallo di
battaglia principale, ossia il benessere generale. In una
condizione del genere, con il sud-est della Turchia a maggioranza
curda in ginocchio, e regioni della Siria dove i curdi sono stati
fra i primi colpiti dal sisma, non può nemmeno usare la diffidenza
nei confronti della minoranza come collante nazionale.
red/pev
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February 08, 2023 02:53 ET (07:53 GMT)
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