Afghanistan: Massolo, Roma svegli Bruxelles
30 Agosto 2021 - 9:30AM
MF Dow Jones (Italiano)
Dietro il ritiro delle truppe statunitensi dall'Afghanistan, c'è
il fatto che gli Usa negli anni sono «diventati sempre meno
dipendenti dal petrolio del Golfo, spostando i propri interessi
strategici nel Mar Cinese Meridionale». Giampiero Massolo,
presidente di Fincantieri e dell'Ispi, a colloquio con Milano
Finanza individua questa tra le cause di ciò che sta avvenendo a
Kabul. Al cambiamento delle mire energetiche Usa, si aggiungono i
successi nelle operazioni antiterroristiche e una situazione di
stallo dal punto di vista militare. Era chiaro quindi che le truppe
occidentali non sarebbero rimaste in Afghanistan all'infinito, ma,
secondo Massolo, sono stati fatti degli errori nelle modalità di
disimpegno. Adesso bisogna comunque concludere il ritiro, per
evitare ulteriori danni, e non trascurare la gestione del
post-crisi. Ossia bisogna lavorare di concerto a livello
internazionale per evitare che l'Afghanistan diventi instabile e
nuovamente terra di dominio terroristico. Il ruolo centrale lo
giocheranno il G20 e l'Italia, che ne è presidente. Molte
personalità politiche si sono espresse su questa linea di pensiero
della necessità di un'azione coordinata a livello globale.
L'incontro tra Mario Draghi e il ministro degli Esteri russo,
Sergey Lavrov, ha decretato prioritarie la stabilità e la sicurezza
dell'Afghanistan su scala regionale. Lo stesso approccio
internazionale nei confronti delle nuove autorità di Kabul è stato
ribadito sia nel colloquio di Lavrov con il ministro degli Esteri
italiano, Luigi Di Maio, sia nella telefonata tra il premier
italiano e il primo ministro indiano, Narendra Modi.
Domanda: Quale sono stati, secondo lei, gli errori compiuti
dagli Usa nel ripiegamento?
Risposta: Credo che tre siano stati gli elementi di cattiva
gestione americana: il non coinvolgimento del governo afghano, la
mancata consultazione degli alleati occidentali, e il non avere
reso partecipi le potenze geografiche del luogo (Cina, Pakistan,
Russia) che avrebbero invece potuto aiutare il coordinamento del
ripiegamento dalla zona. Nello specifico, Trump aveva siglato
accordi a Doha direttamente con i talebani, bypassando il governo
afghano e tagliando fuori totalmente l'Unione europea. Gli effetti
della cattiva gestione del territorio afghano, delle imprecise
previsioni di intelligence, delle operazioni militare scoordinate
sarebbero stati attenuati se si fosse proceduto in maniera più
ordinata. Quel ritiro graduale e scaglionato nel tempo a cui gli
europei aspiravano. Questa modalità di ritiro, invece, lascerà alle
spalle vari danni collaterali e molte persone a terra, tra cui
soprattutto gli afghani che hanno collaborato con le forze
esterne.
D. Che Paese è l'Afghanistan e che futuro di ripresa economica
lo attende?
R. La ricostruzione dello Stato afghano sarà difficile.
Difficile per i Talebani, perché una cosa è riuscire a rientrare a
Kabul, un'altra è governare il Paese. Inoltre, il gruppo talebano è
molto diviso al suo interno e intrattiene rapporti ambigui con le
organizzazioni terroristiche. Per di più, l'Afghanistan resta
decentrato, tribalizzato ed economicamente dipendente dai signori
della guerra. Inoltre, l'emergenza umanitaria è duplice. Non
vengono garantiti i diritti fondamentali alle categorie più deboli
e alle donne. La maggioranza della popolazione versa nella più
estrema povertà. Aiuti e supporto internazionale finanziario e
materiale risulteranno centrali per poter forse parlare di ripresa
economica del Paese.
D. Il Paese conta ingenti riserve di rame e litio, non ancora
pienamente sfruttate. Un coinvolgimento russo e cinese è dovuto
strettamente allo sfruttamento di tali risorse?
R. Al di là di quello che è il timore dell'instabilità politica
afghana, Cina e Russia sono mosse verso l'Afghanistan da interessi
economici e infrastrutturali, data la prossimità, e anche minerari.
La potenza cinese, in particolare, punta a promuove ed esportare i
propri modelli economici e a diventare l'egemone della regione, con
mire anti-indiane. Ovviamente però resta tutta una questione di
priorità: per sfruttare una miniera di litio non posso trovarmi di
fronte uno jihadista che minacci la mia sicurezza.
D. Quanto il G20 sarà fondamentale per il futuro afghano? E
seguendo quali step, a suo parere, prioritari?
R. Innanzitutto va completato il ritiro. Ormai procrastinare la
data di partenza esporrebbe quanto resta delle forze occidentali a
rischi enormi. Si renderà poi necessaria una concertazione
internazionale per non avere nuovamente un Afghanistan
destabilizzato e facile preda del terrorismo. Il G20, di cui
l'Italia è presidente, sta appunto tentando di trovare una comune
modalità d'azione, convogliando i diversi interessi di parte. I
paesi circondariali, ad esempio, temono l'instabilità afghana e la
vulnerabilità dei rispettivi confini. La comunità internazionale si
deve dunque unire per evitare che l'Afghanistan diventi un
santuario della jihad, un centro per il commercio internazionale di
droga e una fonte di flussi significativi di profughi.
D. A chi possono fare gioco gli attentati all'aeroporto di Kabul
del 26 agosto scorso?
R. Nella pratica gli attacchi di giovedì favoriscono i talebani.
Da un lato, perché dimostrano che gli americani non hanno il pieno
controllo della zona aeroportuale, in cui gestiscono le operazioni
di ritorno. Dall'altro lato, in quanto confermano che qualsiasi
ritardo comporterà l'esposizione delle forze occidentali rimaste a
rischi crescenti. Se poi questa sia stata un'azione dell'Isis per
dimostrare la debolezza talebana quindi facile bersaglio delle
forze jihadiste o se fosse un'azione di tolleranza dei talebani nei
confronti del terrorismo, ce lo confermerà solo il tempo.
D. A suo parere, quali lezioni ha impartito la crisi afghana
all'Ue?
R. L'Afghanistan pone il problema della sicurezza comune. Deve
essere riaggiustato e potenziato un sistema di difesa europeo.
Ancora di più perché gli Stati Uniti stanno dirigendosi verso altri
quadranti, ponendo sempre di più l'America First. Da qui la sfida
per l'Ue: ridefinire i rapporti con gli Usa, coordinando gli
interessi oramai non sempre coincidenti.
fch
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August 30, 2021 03:15 ET (07:15 GMT)
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