Governance: attenti a quella lista (Mi.Fi.)
11 Ottobre 2021 - 9:13AM
MF Dow Jones (Italiano)
La partita Generali dimostra una volta di più come le liste
presentate dai consigli di amministrazione siano diventate uno
strumento di governance sempre più diffuso nella finanza italiana,
anche se tra gli addetti ai lavori le valutazioni sono controverse.
Se da un lato le candidature del board vengono riconosciute come
uno strumento indispensabile in società ad azionariato diffuso
quali sono oggi banche e assicurazioni, dall'altro lato molti
vedono il rischio di un'autoreferenzialità dannosa per il mercato.
Quel meccanismo in ogni caso Stefano Micossi lo conosce molto bene.
Non solo infatti il tema è sotto i radar dell'Assonime (di cui
l'economista bolognese è direttore generale), ma lo scorso anno lo
stesso Micossi come amministratore di Unicredit ha preso parte
attiva alla redazione di una delle più delicate liste del cda.
Domanda. Professor Micossi, come è cambiata la governance delle
grandi società italiane negli ultimi dieci anni?
Risposta. Partiamo dai board: il monitoraggio che Assonime
realizza ogni anno sui sistemi di corporate governance delle
quotate italiane emerge che i cda stanno riducendo le dimensioni
spesso pletoriche che li caratterizzavano nel passato;
parallelamente però è cresciuto il numero di riunioni (+20% negli
ultimi 10 anni) e la loro durata (+25%). Abbiamo insomma cda più
piccoli e più impegnati.
D. Cosa si può dire sugli assetti di controllo?
R. Mi sembra che oggi il mercato italiano sia caratterizzato da
due tendenze opposte. Una parte del sistema, composta
principalmente dai gruppi finanziari e dalle ex privatizzate, si è
mossa verso il modello della public company. Le imprese
manifatturiere e, più in generale, le aziende a proprietà
famigliare hanno invece preferito rafforzare i propri assetti di
controllo. Per perseguire questo obiettivo al posto dei patti
sindacali e delle piramidi societarie è stato usato principalmente
il voto multiplo, che oggi rappresenta un valido sostituto. A volte
mi interrogo se sia una strategia valida per tutte le situazioni:
in una fase di debolezza infatti le limitazioni alla contendibilità
possono rappresentare un problema per l'azienda e impedire quei
cambiamenti che ne potrebbero rivitalizzare la strategia. È giusto
in ogni caso lasciare la scelta alle società.
D. Torniamo alle public company. Insieme a questo assetto
proprietario si sta gradualmente imponendo la lista del cda. Che
bilancio se ne può fare?
R. Si tratta di una prassi diffusa nei principali paesi, non
solo anglosassoni, che responsabilizza il cda uscente e che
consente di valorizzare i risultati dell'autovalutazione e
dell'identificazione dei criteri di ottimale composizione. Un
meccanismo insomma che permette di rivolgere forte attenzione alla
selezione dei professionisti e alle richieste degli investitori
internazionali, con importanti riflessi sulla qualità dei
candidati. C'è però un potenziale effetto collaterale:
l'irrigidimento degli amministratori che possono essere spinti ad
auto-perpetrarsi di mandato in mandato.
D. Lo strumento rischia insomma di trasformarsi in un incentivo
alla autoreferenzialità?
R. Negli Usa le cronache finanziarie hanno riportato diversi
casi di cda controllati dal ceo. Dobbiamo stare attenti ma più la
procedura è aperta, meglio il meccanismo funziona soprattutto nelle
grandi società finanziarie. In generale osserviamo che anno dopo
anno la qualità dei processi di selezione migliora e gli
investitori internazionali ci riconoscono questa evoluzione
positiva.
D. Per altro lo scorso anno da amministratore di Unicredit lei
ha partecipato a uno dei test più delicati per la lista del cda.
Che ricordo ne ha?
R. Il ricordo è molto positivo. Ho assistito a un meccanismo di
selezione davvero molto puntuale ed esigente, con una fase iniziale
molto amplia affidata all'attività degli head hunter. Occorre
ricordare che la qualità degli head hunter è alta nel nostro paese
e cerca di verificare la capacità dei consiglieri di contribuire
con le proprie competenze allo sviluppo delle società. Nel caso di
Unicredit il board si è ispirato aagli standard internazionali più
elevati.
D. La lista del cda nasce come momento di sintesi e di coesione.
Questo strumento ha ancora senso a fronte di forti contrapposizioni
tra gli azionisti di una società?
R. Non c'è un modello di governance che risolva ex ante le
possibili tensioni. Questa è una questione di governo pratico delle
società che investe in prima persona il presidente e viene poi
sottoposto al voto dell'assemblea. Tanto più che, è bene
ricordarlo, il cda non deve rappresentare gli azionisti ma avere la
qualità e l'indipendenza necessarie per gestire al meglio la
società.
D. Gli investitori istituzionali sono soggetti sempre più attivi
nella governance delle società italiane. Come sta procedendo questa
dialettica?
R. Questa dialettica fa bene e la vediamo nei grandi mercati
aperti come quelli di New York e Londra. Oggi gli investitori
richiamano l'attenzione delle società sugli aspetti deboli della
governance e sono particolarmente attenti alle remunerazioni e ai
parametri Esg. Nell'ambito di questo confronto però è essenziale
mantenere una nitida linea di demarcazione tra quello che fanno gli
investitori e quello che fanno le società. La strategia spetta agli
amministratori e non ai fondi che pure hanno strumenti per
condizionare la strategia. Soprattutto è essenziale che, davanti
agli investitori, il cda si mostri unito e che non si aprano canali
privilegiati con alcuni amministratori. A questo proposito il nuovo
Codice di Corporate Governance ha raccomandato alle società di
adottare, entro la fine di quest'anno, una politica per promuovere
il dialogo della società con gli investitori.
D. Anche alla luce di questa dialettica, ritiene opportuno
rafforzare il peso delle minoranze nei board?
R. Come Assonime abbiamo spesso sollevato perplessità sul ruolo
degli amministratori di minoranza in un sistema che evolve
gradualmente verso la public company. Anche perché spesso i
requisiti degli indipendenti non si applicano agli amministratori
di minoranza. C'è insomma il rischio di creare nel cda un
contropotere che faccia riferimento a questo o quell'azionista. Noi
ci opponiamo fermamente a questa tendenza e ribadiamo la nostra
convinzione: più una società diventa public, più il suo board ha
bisogno di indipendenti.
D. Oggi ce ne sono abbastanza? E soprattutto: sono davvero
indipendenti?
R. Oggi in Italia i cda sono più pluralistici: il peso degli
amministratori indipendenti nelle società più grandi è pari al 60%,
rispetto al 42% di 10 anni fa. Inoltre, gli indipendenti hanno un
ruolo cruciale e un peso maggioritario nei comitati endoconsiliari.
Abbiamo insomma fatto parecchia strada. Semmai i problemi sorgono
quando scendiamo nella dimensione delle società quotate e ci
avviciniamo alle situazioni di controllo famigliare. Se la conferma
nel cda dipende dall'azionista di controllo, all'avvicinarsi della
scadenza c'è un'ombra sull'indipendenza degli amministratori. Anche
in questi casi però il quadro complessivo è migliorato grazie alla
produzione normativa ma anche allo sforzo di autodisciplina. Il
codice di autodisciplina ha dato un contribuito sostanziale alla
qualità della governance, andando oltre ai requisiti di legge.
D. Abbiamo parlato di public company. Eppure, come lei
ricordava, l'Italia è ancora in gran parte un paese di imprese
famigliari. Che futuro vede per la governance di queste realtà?
R. Vedo due strade possibili. Se dopo la crisi pandemica le
imprese italiane riusciranno ad aprirsi e ad aumentare il proprio
peso specifico sui mercati internazionali, la crescita dimensionale
determinerà una naturale evoluzione verso il modello di public
company. Al contrario, se questo balzo non avrà luogo,
riemergeranno le tendenze a chiudersi e a difendersi e si
riproporranno i modelli di governance del passato. Sono sempre le
scelte dell'economia reale a determinare l'evoluzione dei modelli
di governance.
fch
(END) Dow Jones Newswires
October 11, 2021 02:58 ET (06:58 GMT)
Copyright (c) 2021 MF-Dow Jones News Srl.
Grafico Azioni Unicredit (BIT:UCG)
Storico
Da Mar 2024 a Apr 2024
Grafico Azioni Unicredit (BIT:UCG)
Storico
Da Apr 2023 a Apr 2024